No-cloning: una storia curiosa

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di Riccardo Adami


La prima volta che qualcuno sente parlare di entanglement quantistico, è difficile che non pensi alla telepatia: interagire con una particella sembra poter influenzarne un’altra, anche lontanissima.

Ma si può usare l’entanglement per trasmettere messaggi istantanei?

Nonostante quello che si legge sui social, la risposta è un deciso no. Ormai lo sanno in molti. Ma in pochi sanno chi lo scoprì.

Ho avuto la fortuna di conoscerlo a Milano, tanti anni fa. Lo presentò un collega, molto famoso, dicendo “lui è più famoso di me. Lui è il migliore del mondo”. Il collega di Milano lo dice anche di altri, se li stima e se gli vuole bene, quindi va a finire che nessuno ci crede.

Ma in questo caso, se esagerava, non era poi di molto.

La persona che stava presentando era Gian Carlo Ghirardi, fisico teorico che ha trascorso gran parte della sua carriera a Trieste. Noto per avere formulato, insieme ad Alberto Rimini e a Tullio Weber, una teoria alternativa alla meccanica quantistica, Ghirardi, a detta del fisico e filosofo Abner Shimony, è stato il primo a mostrare chiaramente che l’ entanglement non trasporta informazione. Per farlo, dimostrò quello che oggi è il teorema cardine della teoria dell’informazione quantistica, chiamato no-cloning theorem. Il teorema fu pubblicato nel 1982 su Nature. Ma non a nome di Ghirardi. Gli autori dell’atricolo sono William Wootters e Wojciech Zurek.

Com’è stato possibile?

La storia, raccontata dallo stesso Ghirardi nell’articolo allegato, è surreale. Per farla breve, Ghirardi aveva inviato la dimostrazione na una rivista, ma non in articolo da pubblicare, bensì… in un referee report, ossia in una valutazione confidenziale di un altro articolo, scritto da un altro autore. Ed essendo una valutazione confidenziale, era segreta.

Un po’ come capitò al povero abate Abbone a proposito della morte di Adelmo da Otranto (o era Venanzio da Salvemec?… la memoria): sai tutto di un omicidio, ma non puoi dirlo perché sei un religioso e lo hai saputo sotto confessione. “Eris sacerdos in eaternum” gli aveva detto Gugliemo da Baskerville.

Tutto comincia da Nick Herbert, fisico un sacco alternativo che, all’inizio degli anni 80, scrive un articolo con una proposta di comunicazione superluminale (sembra che volesse farci i soldi). In quella proposta viene usato un laser per amplficare il segnale di singoli fotoni. Per farlo, il laser copia lo stato dei fotoni. Niente di male come intenzione, solo che quel laser dovrebbe copiare stati non ortogonali tra loro.

Dopo due settimane in cui Ghirardi, richiesto di valutare la pubblicabilità dell’articolo di Herbert, ne cerca invano il punto debole, finalmente ci arriva: non è possibile copiare stati non ortogonali tra loro. Scrive il suo report, dimostrazione inclusa, per il redattore della rivista, e non ci pensa più. Ma l’articolo, sulla scorta delle osservazioni di un altro valutatore, sarà pubblicato e ispirerà Wootters e Zurek.

Recentemente Juan Ortigoso ha proposto di retrodatare di undici anni la prova del no-cloning theorem, precisamente a un articolo del 1970 di James Park. Non mi ha convinto: che ci fossero gli elementi è vero, che quello specifico contenuto fosse stato capito e isolato, a mio avviso no.

Due le lezioni da trarre: mai essere troppo zelanti quando si valuta un articolo per una rivista; e soprattutto mandare sì i propri risultati a Nature, ma solo dopo avere trovato un nome “che spacca”: e “no-cloning” fu un invenzione di John Archibald Wheeler, grande fisico con inusuali doti di marketing, che aveva già coniato “buchi neri”.